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"La donna ideale"

il sogno di un uomo
è una puttana con un dente d'oro
e il reggicalze,
profumata
con ciglia finte
rimmel
orecchini
mutandine rosa
l'alito che sa di salame
tacchi alti
calze con una piccolissima smagliatura
sul polpaccio sinistro,
un po' grassa,
un po' sbronza,
un po' sciocca e un po' matta
che non racconta barzellette sconce
e ha tre verruche sulla schiena
e finge di apprezzare la musica sinfonica
e che si ferma una settimana
solo una settimana
e lava i piatti e fa da mangiare
e scopa e fa i pompini
e lava il pavimento della cucina
e non mostra le foto dei suoi figli
né parla del marito o ex-marito
di dove è andata a scuola o di dove è nata
o perché l'ultima volta è finita in prigione
o di chi è innamorata,
si ferma solo una settimana
solo una settimana
e fa quello che deve fare
poi se ne va e non torna più indietro

a prendere l'orecchino dimenticato sul comò.



STIRKOFF

- Siediti, Stirkoff.
- grazie , signore.
- distendi pure le gambe.
- molto gentile da parte sua, signore.
- Stirkoff, mi hanno informato che hai scritto articoli sulla giustizia, sull'eguaglianza; anche sul diritto alla gioia e alla sopravvivenza. Stirkoff?
- sissignore.
- pensi che ci sarà mai una giustizia totale e ragionevole sulla terra?
- non esattamente, signore.
- ma allora perchè scrivi quelle stronzate? sei forse malato?
- mi sento strano da un po' di tempo a questa parte, signore, come se stessi per impazzire.
- bevi molto, Stirkoff?
- naturalmente, signore.
- e fai cosaccine da solo?
- di continuo, signore.
- come?
- non capisco, signore.
- cioè, com'è che te le fai?
- quattro o cinque uova e mezzo chilo di carne trita in un vaso di fiori col collo stretto mentre ascolto Vaughn Williams o Darius Milhaud.
- di vetro?
- no, di dietro, signore.
- volevo dire, il vaso è di vetro?
- naturalmente no, signore.
- ti sei mai sposato?
- molte volte, signore.
- siediti, Stirkoff.
- grazie , signore.
- Cos'è che non ha funzionato?
- tutto, signore.
- qual è stato il più bel pezzo di fica che tu abbia mai avuto?
- quattro o cinque uova e mezzo chilo di carne trita in un...
- d'accordo, d'accordo!
- sissignore.
- ma capisci che il tuo desiderio di giustizia e di un mondo migliore è solo una scusa per nascondere la decadenza, la vergogna, e il fallimento che sono dentro di te?
- eggià.
- tuo padre era cattivo?
- non so, signore.
- cosa vuol dire non so?
- voglio dire che è difficile fare paragoni. vede, di padre ne ho avuto uno solo.
- stai cercando di fare il furbo con me, Stirkoff?
- oh, no, signore: come lei dice la giustizia è impossibile.
- ti picchiava tuo padre?
- facevano i turni.
- pensavo che avessi avuto un solo padre.
- come tutti, volevo dire che s'alternava con mia madre.
- ti voleva bene tua madre?
- ero solo un prolungamento della sua persona.
- che altro può essere l'amore?
- il luogo comune secondo cui si ha grande cura di una cosa molto buona. non è necessariamente legato alla consanguineità. può essere un palloncino rosso o un toast imburrato.
- vuoi dire che potresti amare un toast imburrato?
- solo pochi, signore. in certe mattine particolari. sotto certi raggi del sole. l'amore arriva e scompare senza preavviso.
- è possibile amare un essere umano?
- naturalmente, soprattutto se non lo si conosce troppo bene. mi piace guardare la gente da dietro la finestra, quando cammina per strada.
- sei un vigliacco, Stirkoff.
- naturalmente, signore.
- qual è la tua definizione di vigliacco?
- un uomo che ci penserebbe su due volte prima di lottare contro un leone solo con le mani.
- e come definiresti il coraggioso?
- un uomo che non sa cos'è un leone. ogni uomo crede di saperlo.
- e come definisci lo stupido?
- un uomo che non arriva a capire che Tempo, Struttura e Carne vengono quasi sempre sprecati.
- ma allora chi è il saggio?
- i saggi non esistono, signore.
- se è così non esistono neppure gli stupidi. senza la notte il giorno non esisterebbe; senza il bianco il nero non esisterebbe.
- mi spiace, signore. ho sempre pensato che ogni cosa fosse quel che è indipendentemente dall'esistenza di qualcos'altro.
- hai infilato il cazzo in troppi vasi di fiori. ma non riesci proprio a capire ce OGNI COSA è giusta, che niente può andar male?
- comprendo, signore, vada come vada.
- cosa diresti se ti facessi decapitare?
- non potrei dir niente signore.
- voglio dire che se ti facessi decapitare io rimarrei il Volere e tu diventeresti il Nulla.
- diventerei qualcos'altro.
- a mio PIACIMENTO.
- a nostro piacimento, signore.
- calmati! calmati! distendi le gambe!
- molto gentile da parte sua, signore.
- no, molto gentile da parte di tutti e due.
- affermi di avere spesso la sensazione d'esser pazzo. cosa fai quando hai questa sensazione?
- scrivo poesie.
- la poesia coincide con la follia?
- la non-poesia è follia.
- cos'è la follia?
- la follia è l'orrore.
- cos'è l'orrore?
- qualcosa di diverso per ogni persona.
- ma l'orrore è parte di un tutto?
- è li.
- ma è parte di un tutto?
- non lo so so, signore.
- dimostri d'esser saggio. cos'è la sapienza?
- conoscere meno possibile.
- come si fa?
- non lo so, signore.
- sapresti costruire un ponte?
- no, signore.
- sapresti costruire un fucile?
- no, signore.
- questi oggetti sono dei prodotti della conoscenza.
- questi oggetti sono ponti e fucili.
- ti farò decapitare.
- grazie, signore.
- perchè?
- lei rappresenta le mie motivazioni, mentre io ne ho molto poche.
- io sono la Giustizia.
- forse.
- io sono il Vincitore. ti farò torturare, ti farò urlare. ti farò desiderare la Morte.
- naturalmente, signore.
- ma non riesci a capire che io sono il tuo padrone?
- lei è il mio manipolatore ma non può farmi niente che non possa esser fatto.
- pensi d'essere astuto ma non dirai niente d'astuto tra un urlo e l'altro.
- ne dubito, signore.
- per inciso, come fai a reggere Vaughn Williams e Darius Milhaud? non hai sentito parlare dei Beatles?
- oh, signore, tutti conoscono i Beatles.
- non ti piacciono?
- non mi dispiacciono.
- c'è qualche cantante che non ti piace?
- è impossibile che esistano dei cantanti piacevoli.
- diciamo, allora, una qualche persona che tenti di cantare?
- Frank Sinatra.
- perchè?
- perchè lui evoca una società malata in groppa a una società malata.
- leggi qualche giornale?
- solo uno.
- quale?
- OPEN CITY.
- GUARDIE! CONDUCETE IMMEDIATAMENTE QUEST'UOMO NELLA CAMERE DELLA TORTURA E DATE INIZIO ALLE OPERAZIONI!
- un ultimo desiderio, signore.
- sì.
- posso portare con me il mio vaso di fiori?
- no, lo userò io!
- signore?
- volevo dire che te lo farò confiscare. guardia, conduci via quest'uomo e torna qui con, torna qui con...
- sissignore...
- una mezza dozzina d'uova e un chilo di carne trita...
- escono la guardia e il prigioniero. il re si china in avanti e fa una smorfia malvagia mentre la filodiffusione comincia a trasmettere un brano di Vaughn Williams.

Fuori, il mondo va avanti mentre un cane mangia da un bidone della spazzatura.



UNDERGROUND

il posto era affollato
il direttore disse :
Charley, va su a prendere delle sedie,
su ci sono delle altre sedie”.
le portai giù e aprimmo la birra
e il direttore disse :
non c’è abbastanza pubblicità,
la barca potrebbe affondare,
e allora si misero a parlare di come trovare
della pubblicità.
io continuavo a bere birra
poi mi venne da pisciare
e quando tornai indietro
la ragazza vicino a me disse :
dovremmo evacuare la città
ecco quello che dovremmo fare”.
io dissi : preferisco ascoltare Joseph Haydn.
prova solo a pensarci disse lei,
se tutti lasciassero la città!
sarebbero solo in qualche altro posto
a spuzzolentarlo come qui.
non mi sembra che la gente
ti piaccia” disse lei, tirandosi giù la sottana
il più possibile.
solo per chiavare dissi io.
poi raggiunsi il bar più vicino
e comprai altri 3 pacchi di birra.
quando tornai indietro parlavano della Rivoluzione.
eccomi tornato al 1935,
solo che io ero vecchio e loro giovani, avevo almeno
20 anni più di tutti i presenti,
e pensai : che diavolo ci faccio qui?
presto la riuonione finì
ed essi uscirono nella notte,
quelli giovani,
e io presi il telefono, chiamai John T.:
John, tutto bene? stanotte sono giù.
e se venissi lì a prendermi
una sbronza?.
certo, Charley, ti aspettiamo.
Charley disse il direttore, sarà meglio
riportare le seggiole
di sopra.
riportammo le seggiole di sopra.
la
rivoluzione era
finita.



UN CAVALLO DA 340 DOLLARI E UNA PUTTANA DA CENTO.


non vi venga l' idea che io sono un poeta; mi trovate
mezzo sbronzo all' ippodromo ogni giorno
a puntare su quarter, trottatori e purosangue,
ma fatevelo dire, là ci sono delle donne
che seguono i quattrini, e qualche volta
quando guardi queste puttane queste puttane da cento dollari
qualche volta ti domandi se la natura non ha scherzato
a regalare tanto petto e tanto culo e la maniera
in cui sta tutto insieme, tu guardi e guardi e
e guardi e non ci credi; ci sono le donne qualsiasi
e poi c'è qualcos'altro che ti fa venir voglia
di sfondare quadri e spaccare dischi di Beethoven
sul coperchio del cesso; in ogni modo, la stagione
si trascinava e i pezzi grossi restavano in bolletta,
tutti i non professionisti, i produttori, gli operatori,
gli spacciatori di marijuana, i pellicciai, gli stessi
proprietari, e 'sto giorno correva Saint Louis:
un cavallo che rompeva quando l' arrivo era serrato
correva a testa bassa, era brutto e cattivo
dato 35 a 1, e io puntai un deca su di lui.
il guidatore lo spinse al largo
lo portò allo steccato dove sarebbe stato solo
anche se doveva fare il quadruplo di strada,
e fu così che fece
tutta la gara contro lo steccato
correndo per due miglia anziché una
e vinse come se avesse il diavolo alle calcagna
e non era nemmeno stanco,
e la bionda più grossa di tutte
tutta culo e tette, praticamente nient'altro
venne con me a riscuotere.

quella notte non riuscii a distruggerla
anche se le molle sprizzavano scintille
che rimbalzavano sui muri.
più tardi là seduta in sottoveste
bevendo Old Grandad
disse
come mai un tipo come te
vive in una stamberga come questa?
e io dissi
sono un poeta

e lei buttò indietro la testa e rise.

tu? tu... un poeta?

proprio così, dissi, proprio così.

ma mi piaceva ancora, sì, mi piaceva,
e tante grazie a un brutto cavallo
che ha scritto questa poesia.



da Niente Canzoni d'Amore : " La vendetta dei dannati " racconto breve

Nel dormitorio dei falliti il russare era fortissimo, come al solito. Tom non riusciva a dormire. Dovevano esserci sessanta cuccette, ed erano tutte occupate. Gli ubriachi russavano più forte, e la maggior parte di quelli che stavano lì erano ubriachi. Tom si alzò a sedere e guardò il chiaro di luna entrare dalle finestre e cadere sugli uomini addormentati. Si preparò una sigaretta, e l'accese. Tornò a guardare gli altri uomini. Che branco di brutti coglioni inutili e cazzoni. Anzi, altro che cazzoni. Le donne non li vogliono. Non li vuole nessuno. Non valgono un cazzo, ah, ah, ah, e lui era uno di loro. Tirò fuori la bottiglia da sotto il cuscino e si fece l'ultimo. L'ultimo goccio era sempre il più triste. Infilò il vuoto sotto la cuccetta e guardò di nuovo gli uomini che russavano. Manco a tirargli la bomba atomica, non ne valeva la pena.
Tom si voltò verso il suo amico, Max, sulla cuccetta accanto. Max se ne stava disteso con gli occhi aperti. Era morto?
«Ehi, Max!»
«Uh?»
«Non dormi?»
«Non riesco. Hai notato? Molti di loro russano a tempo. Come mai?»
«Non lo so, Max. C'è un sacco di cose che non so.»
«Anch'io, Tom. Mi sa che sono scemo.»
«Ti sa soltanto? Se sapessi con certezza di essere scemo, allora saresti furbo."Max si mise a sedere sull'orlo del lettino."Tom, pensi che ce ne andremo mai via di qui?»
«C'è un modo solo...»
«Sì?»
«Sì... da morti.»

Max si arrotolò una sigaretta e l'accese.
Max stava male, stava sempre male quando si metteva a pensare alle cose. La cosa da fare era smettere di pensare, chiudere tutte le porte.

«Ehi, Max» sentì la voce di Tom.
«Sì?»
«Ho pensato...»
«Pensare è una stronzata...»
«Ma io sto sempre a pensare a questa cosa.»
«Ti è rimasto un goccetto?»
«No, scusa. Ma senti...»
«Merda secca, non voglio sentire!»

Max si stese di nuovo sul lettino. Chiacchierare non serviva a nulla. Era uno spreco.

«Guarda che te lo dico lo stesso, Max.»
«OK, cazzo, dài...»
«Tu li vedi, tutti questi tizi? Ce n'è un sacco, no? Barboni da tutte le parti.»
«Certo, e quanto sono brutti...»
«Insomma, Max, io sto tutto il tempo a pensare a come si potrebbe utilizzare tutto questo materiale umano. Così è semplicemente sprecato!»
«Ma questi barboni non li vuole nessuno. Che cosa ci puoi fare, con loro?

Tom si sentì vagamente eccitato.

«Il fatto che questi non li vuole nessuno, è tutto a nostro vantaggio.»
«Ma sei proprio sicuro?»
«Certo. Vedi, in prigione non ce li vogliono perché poi gli tocca dargli da mangiare e da dormire. E tutti questi barboni non hanno nessun posto dove andare e niente da perdere.»
«E allora?»
«Ho pensato un sacco, la notte. Tipo: se potessimo metterli tutti insieme, come una mandria, li potremmo lanciare alla carica da qualche parte. E prendere noi il controllo, per un po', di certe situazioni...»
«Tu sei pazzo!» disse Max.

Però si alzò a sedere sul lettino.

«Dimmi qualcosa di più...»

Tom rise. «Beh, magari sono matto, ma continuo a pensare a questo spreco di materiale umano. Sono rimasto qui sveglio la notte a sognare le cose che ci si potrebbe fare...»

Ora fu Max a ridere. «Ma tipo cosa, per amor di Dio?» La loro conversazione non disturbava nessuno. Intorno, tutti continuavano a russare.

«Beh, è una specie di cosa che continua a girarmi in testa da un pezzo. Sì, può darsi benissimo che sia pazzo. Comunque...»
«Sì?» chiese Max.
«Non ridere. Magari il vino mi ha mangiato il cervello.»
«Cercherò di non ridere.»

Tom tirò una boccata dalla sigaretta, poi espirò. «Beh, vedi, mi viene in testa questa visione di tutti i barboni che riusciamo a trovare che scendono giù per Broadway, proprio qui a Los Angeles, tutti quanti, in mucchio, che vengono avanti...»

«Beh, e allora?»
«Beh, è un casino di gente. Tipo, la vendetta dei dannati. Un corteo di scarti umani. Sembra quasi una specie di film. È come se vedessi le macchine da presa, le luci, il regista. La Marcia degli Sconfitti. L'Insurrezione dei Morti! Accidenti, è proprio forte!»
«Io credo" disse Max "che dovresti proprio lasciar perdere il porto e tornare al vino bianco e basta.»
«Tu dici, eh?»
«Sì. OK, insomma, così abbiamo tutti questi barboni che vengono avanti per Broadway, per l'ora diciamo tipo a mezzogiorno, mezzogiorno di fuoco, e allora?»
«Beh, allora li portiamo fino al più grosso e più assurdo dei grandi magazzini alla moda della città...»
«Vuoi dire, Bowarms?»
«Sì, Max. Da Bowarms c'è tutto: i vini migliori, i vestiti più belli, orologi, radio, tivù, tutto quello che vuoi, tu di' che cosa vuoi e quelli ce l'hanno...»

Proprio allora un vecchio, qualche lettino più in là, si tirò su a sedere, spalancò al massimo gli occhi, e strillò: "Dio è una negra lesbica di duecento chili!».

Poi ricascò sul suo lettino.

«Quello là ce lo portiamo?» chiese Max.
«Come no? Lui è uno dei migliori. Quale prigione vuoi che se lo prenda?»
«OK, allora, entriamo dentro Bowarms. E poi?»
«Cerca di immaginartelo visivamente. Si tratta giusto di entrare e poi di uscire. Saremo in troppi perché le guardie della sicurezza possano fermarci. Immagina: noi ci mettiamo semplicemente a prendere, e basta. Magari puoi pure dare un pizzicotto al culo di una delle commesse. Qualsiasi pezzo del sogno che non abbiamo più, te lo prendi e via, prendi qualsiasi cosa, prendi tutto quello che vuoi. E poi via, ce ne andiamo.»
«Tom, potrebbero esserci un sacco di teste rotte. Non sarà mica un picnic nel paese delle meraviglie...»
«No, ma neppure la vita che facciamo lo è! Ci stiamo lasciando seppellire vivi, per sempre, senza nemmeno una protesta...»
«Tom, caro mio, mi sa che hai fatto proprio una bella pensata. Ora, come facciamo a organizzarla, questa storia?»
«Bene, prima di tutto stabiliamo un giorno e un'ora. Poi, tu conosci una dozzina di tipi da poter schierare?»
«Direi di sì.»
«Anch'io ne conosco una dozzina.»
«E se qualcuno parla con la polizia?»
«Improbabile. E poi, che abbiamo da perdere?»
«Giusto.»

Era mezzogiorno passato. Tom e Max camminavano in testa alla banda. Venivano giù per Broadway, a Los Angeles. C'erano più di cinquanta barboni che camminavano in gruppo dietro Tom e Max. Cinquanta e più barboni che strizzavano gli occhi, barcollavano, non erano granché sicuri di che cosa stava succedendo. I normali cittadini, i passanti, erano stupefatti. Si fermavano, si spostavano di lato, e guardavano. Certi erano spaventati, certi ridevano. Altri pensavano fosse uno scherzo, o un film in lavorazione. Il trucco era perfetto: gli attori sembravano dei veri barboni. Ma le macchine da presa, dov'erano?

Tom e Max guidavano la marcia.

«Senti, Max, io ne ho chiamati solo otto. Tu a quanti l'hai detto?»
«Forse nove.»
«Io vorrei sapere, ma che cazzo è successo?»
«Devono essersi passati parola fra loro...»

Continuarono ad andare avanti. Era come un sogno assurdo e impossibile a fermarsi. All'angolo della Settima Strada, il semaforo scattò sul rosso. Tom e Max si fermarono e tutti i barboni gli si ammucchiarono dietro aspettando. Un odore fatto di calzini e biancheria non lavata, di alcolici e aliti maleodoranti, si diffuse all'intorno in un istante. Il dirigibile della Goodyear descriveva circoli senza scopo, là in alto. Lo smog si posava, grigio-bluastro, sulle strade.

Poi scattò il verde. Tom e Max fecero un passo avanti. I barboni gli andarono dietro.

«Anche se me l'ero immaginato,» disse Tom «non riesco a credere che sta succedendo davvero.»
«Eppure sta succedendo» fece Max.

I barboni erano così tanti che qualcuno stava ancora attraversando la strada quando tornò a scattare il rosso. Ma loro continuarono a passare, bloccando il traffico, alcuni con una bottiglia di vino in mano, o in bocca. Marciavano e avanzavano, ma senza una canzone di battaglia o un inno. Solo il silenzio, a parte il rumore delle suole consumate sul marciapiede. Solo ogni tanto qualcuno diceva qualcosa.

«Ehi, ma dove cazzo stiamo andando?»
«Dammi un goccio di quella roba!»
«Vaffanculo!»Il sole splendeva e bruciava.
«Dobbiamo davvero andare avanti con questa cosa?» chiese Max.
«Mi sentirei male di brutto se tornassimo indietro proprio adesso» dichiarò Tom.

Poi si trovarono davanti a Bowarms.

Tom e Max si fermarono un istante.

Poi, insieme, avanzarono e passarono attraverso le imponenti porte di vetro.

La massa di barboni li seguì, in una lunga fila di stracci. Avanzarono attraverso i saloni lussuosi. Gli inservienti li osservarono, senza realmente capire.

ll reparto maschile era al primo piano.

«Ora," disse Tom «dobbiamo dare un esempio.»
«Già» disse Max, incerto.
«Dai, Max, forza!»
«Uh, uh..."»

I barboni si erano fermati e li osservavano. Tom esitò un momento, poi andò alla sbarra dov'erano appesi i cappotti e ne sfilò via il primo, un modello in cuoio giallo con il collo di pelliccia. Lasciò cadere il suo vecchio cappotto e si infilò nel nuovo. Si avvicinò uno degli impiegati del grande magazzino, un tipetto tutto lindo con dei baffetti ben curati.

«Desidera qualcosa, signore?»
«Sì, questo qui mi piace e lo prendo. Lo metta sul mio conto.»
«American Express, signore?»
«No, Espresso Cinese.»
«E io prendo questo," disse Max infilandosi in uno strano modello in pelle di alligatore con tasche laterali, e un cappuccio orlato di pelliccia contro la pioggia.

Tom prese un cappello da uno scaffale, un copricapo in stile cosacco, piuttosto ridicolo ma piacevole.

«Questo va benissimo con la mia carnagione. Lo prendo.»

E a quel punto, i barboni si misero in moto. Avanzarono, e cominciarono a mettersi cappotti e cappelli, e poi sciarpe, impermeabili, scarpe, maglioni, guanti e accessori vari.

«Contanti o carta di credito, signore?» chiese una voce spaventata.
«Metti in conto a tua sorella, stronzo!»

Oppure, a un altro bancone:

«Questo mi pare che le vada bene, signore.»
«Ho il diritto di tornare a cambiarlo?»
«Naturalmente, signore. Entro quattordici giorni.»
«Sì ma tu tra quattordici giorni magari sarai morto.»

Poi dal soffitto cominciò a suonare un allarme. Qualcuno si era reso conto che era iniziata un'invasione. I clienti che erano rimasti increduli a guardare cominciarono a disperdersi.

Giunsero di corsa tre uomini, con dei vestiti grigi mal tagliati. Erano grossi, ma con più grasso che muscoli. Si lanciarono sui barboni come per portarli via di peso. Ma ce n'erano semplicemente troppi. I tre vennero completamente sommersi. Mentre lottava, però, tra bestemmie e minacce, una delle guardie giurate tirò fuori la pistola. Si udì uno sparo, ma era stato un gesto stupido e inutile, e l'uomo venne disarmato in fretta.

All'improvviso si vide un barbone in cima alla scala mobile. Con la pistola. Era ubriaco. Non aveva mai avuto in mano una pistola prima di allora. Però la pistola gli piaceva. Prese la mira e sparò. Prese un manichino. La pallottola gli attraversò il collo. La testa finì per terra: morte di uno sciatore alla moda.

La morte dell'oggetto sembrò ridestare i barboni. Si levò un potente grido di giubilo. Presero per le scale mobili e si dispersero per tutto il magazzino. Si misero a lanciare grida insensate. Per un momento, ogni senso di frustrazione e di fallimento scomparve. Avevano occhi brillanti, e movimenti rapidi. Era una scena strana, sgradevole e assurda.

Si muovevano in fretta da un piano all'altro, da un reparto all'altro.

Tom e Max avevano smesso di guidarli, oramai venivano trascinati.

Cominciavano a venir rovesciati dei banconi, mentre degli specchi finivano in frantumi. Al banco dei cosmetici una ragazza giovane e bionda lanciò un grido, alzando in aria le braccia. Ciò attirò l'attenzione di uno dei barboni più giovani, che le tirò su il vestito e strillò: "«Uau !».

Si avvicinò un altro barbone, che afferrò la ragazza. Poi ne arrivò di corsa un altro. Ben presto una vera e propria banda la circondò, strappandole il vestito di dosso. Era davvero orribile. Eppure, ispirò degli altri barboni, che cominciarono a inseguire le commesse.

«Gesù santissimo!» Tom esclamò.

Tom riuscì a trovare un bancone intatto. Ci salì sopra e cominciò a urlare: "«No! Questo no! Basta! Io non volevo questo!».

Max era lì accanto a Tom.

«Ah, merda» disse piano.

I barboni non si fermarono. Strapparono tende. Rovesciarono tavoli. Fracassarono altri banconi di vetro. Si udirono delle grida acute. Qualcosa si ruppe fragorosamente.

Poi dardeggiò una lingua di fiamma, ma loro continuarono il saccheggio.

Tom balzò giù dal suo bancone. L'intero episodio era durato meno di cinque minuti. Guardò in faccia Max. "«Andiamo via da questo cazzo di posto!»

Un altro sogno mandato in merda, un altro cane che crepa in strada, altri incubi di spazzatura.

Tom si mise a correre e Max lo seguì. Presero la scala mobile e scesero. Tom e Max avevano ancora addosso i cappotti nuovi. Tolte le facce rosse e non rasate, sembravano quasi delle persone rispettabili. Al primo piano, si mischiarono alla folla. Alle porte c'era la polizia. Lasciavano uscire la gente ma non permettevano a nessuno di entrare.

Tom aveva fregato una manciata di sigari. Ne passò uno a Max.

«Dai, accendilo. Cerca di avere l'aria di una persona perbene.»

Tom accese un sigaro per sé.

«Ora, vediamo se riusciamo a uscire di qui.»
«Secondo te li freghiamo, Tom?»
«Boh. Cerca di avere l'aria di bancario, di un dottore...»
«E che aria hanno?»
«Stupida e soddisfatta.»

Si mossero verso l'uscita. Non ebbero alcun problema. Vennero guidati fuori insieme a qualche altra persona. Sentirono dei colpi d'arma da fuoco all'interno. Si voltarono a guardare l'edificio. Da una finestra in alto si vedevano uscire le fiamme. Poco dopo sentirono l'urlo delle sirene in arrivo.

Presero verso sud per tornare ai quartieri bassi.

Quella notte loro due erano i due barboni meglio vestiti di tutto il dormitorio. Max era persino riuscito a rubare un orologio. Le lancette brillavano nel buio. La notte era appena all'inizio. Si distesero sui lettini mentre tutt'intorno cominciavano a russare.

Era di nuovo tutto pieno, malgrado la massiccia retata del pomeriggio. Di barboni ce n'erano tanti da poter riempire ogni spazio libero.

Tom tirò fuori due sigari e ne passò uno a Max. Li accesero e fumarono per un poco in silenzio. Dopo qualche minuto parlò Tom.

«Ehi, Max...»
«Sì?»
«Non era così che doveva andare.»
«Lo so. Ma va bene lo stesso.» Quelli avevano preso a russare sempre più forte, gradualmente. Tom tirò fuori da sotto il cuscino una nuova bottiglia da un quinto di vino. L'aprì e ne prese un sorso.
«Max?»
«Sì?»
«Bevi?»
«Certo.»

Tom passò la bottiglia. Max ne prese un sorso e gliela restituì.

«Grazie.»

Tom fece scivolare la bottiglia sotto il cuscino.

Era vino bianco.


 

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