sono perle verdi questi lacci che ti inzaccherano le scarpe di mascarpone freddo ho veleggiato verso un’altra epoca per molti anni mi davo arie da condottiero medievale ma ero un post-it caduto a terra con l’adesivo coperto di peli ora che la polvere non alberga più le quiete stanze ma i miei libri sì
La strada scorreva veloce davanti ai suoi occhi sempre coperti da spessi occhiali che le nascondevano gran parte del suo luminoso viso. Irriverenti e superbi picchi rocciosi sospesi al cielo controllavano la selvaggia valle sottomessa. L'occhio faceva fatica a reggere lo sguardo di questi terribili despoti che incutevano terrore e suggestione indescrivibili. La notte precipitava inesorabile offuscando i solitari villaggi montani. La macchina ora viaggiava più lentamente non perché non fosse ben visibile la strada, semplicemente perché non era più così chiara la meta del viaggio. Quello spettale silenzio avrebbe fatto digrignare i denti a qualunque essere umano. Lei non sentiva nulla. Il ghiaccio non reggeva il confronto. Intangibile era la sua presenza, senza vita sembrava il suo cuore, i suoi arti, la sua mente. Dalla sua leggera scollatura si intravedevano marchiate sulla sua limpida pelle poche lettere dai contorni indefiniti. Sophie. Anche il suo nome era intangibile. Leggiadra come un soffio di vento che silenzioso corre tra le nuvole scure di tempesta. I fari squarciavano il buio scoprendo il vecchio cartello usurato dove il tempo aveva reso illeggibile il nome. Era proprio quello che lei stava cercando. Voleva un luogo dove la vita rimasta fosse la minima possibile. La macchina si fermò sul lastricato della piazza. Sophie si guardò intorno e vedendo le sdentate e mal ridotte case dove il tempo era passato furioso senza ostacoli, fu attraversata da una turgida soddisfazione. Cercò un luogo spoglio dove la luce dei lampioni non aveva mai portato dimora. Scese con lentezza. Cominciò a camminare nel buio. Impercettibile era l'attrito dei suoi passi sulla terra, come dei suoi arti attraverso l'aria gelida. Un soffice vento sibilava il suo nome, come un presagio. Sulle sue spalle una sottile borsa si confondeva con le tenebre. Era lo stretto necessario per il lavoro di quella notte...
oggi ho deciso di farmi una girata. due passi per il paese in cui sono nata e cresciuta. generalmente, mi fa schifo camminare per questa strade, ma la macchina non è ancora arrivata e poi sono a casa a far nulla, quando fuori c'è un tempo piacevolissimo. sole tiepido, venticello gradevole ed una bottiglia di Chianti. mi dirigo verso la biblioteca a cercare Tommaso Moro. ma è stato espulso, a quanto pare... vado in carrozzeria a sbrigare una commissione veloce per mia sorella ed eccomi qui. paesino con le strade strette, i palazzi mediamente alti o mediamente bassi, i muri schifosi. la gente è per le strade, appaggiata ai muri schifosi: vecchi ubriaconi, ragazzetti davanti al market, una coppia che puzza di profumo nuovo di fronte ad una vetrina con oggetti di vetro e cristallo inutili. piccoli dèi da comò.
Plicplicplicplicplicplic---plicplic---plicplicplicplicplicplicplic...piove. Fuori dall'auto. Sulle mie guance piovono lacrime. Restiamo per un po' ad ascoltare i capricci della pioggia. È bello il suono della pioggia. Sì. Piango. Singhiozzo. Ho paura. Cerco aria per respirare. Sto male. Ho paura. Ed amo come una pazza scellerata. E come una pazza scellerata ormai la mia cazzata l'avevo già fatta. E mi piacerebbe poter riavvolgere il nastro sino a 7 mesi fa, 8 mesi fa. Per tornare a stare bene. Per evitare di fare cazzate. Per evitare di stare qui a farmi scorrere addosso le depressioni che mi deprimono. Per non essere compressa dentro. Sento dei pugni dentro. Alla gola, allo stomaco, alla mascella, alla bocca, al cuore. Mi sale un conato di vomito. Ho la gola che mi brucia. Mi fa male. È infiammata. Tutto questo inacidirsi lo stomaco e la vita non le fa bene e non mi fa bene. Ho voglia di provare a morire. A marcire nella terra. A bruciarmi col corpo coperto di domopack.
Presi il treno per arrivare a Sollotek. Volevo proprio divertirmi. La serata era partita abbastanza bene grazie alle solite cose che si fanno per poter stare un po' su di giri. Sapete alla fine quei tre o quattro litri di Ronterm giusto per ciondolare un po' la testa. Il gruppo era al massimo. Si proprio al massimo. C'erano tutti: Ron, Noise, Dean,Jones..... la cosa piu' particolare fu vedere Jones. Aveva uno strano taglio di capelli, infatti erano tutti sparati di colore blu-viola. Sembrava un pazzo psicopatico.
sono l'ignorante cameriera di POIUS Duscher... 3 settimane dal ricovero di Duscher per frattura scomposta al femore; la sua morte mi ha colpito facendomi riprovare emozioni che da quando lavoro come cameriera in ospedale non provavo più.
piove. come non succedeva da tanto. dalla finestra respiro il nero del mattino che mi punge. cazzo, fa freddo davvero. indosso un maglione di Marisol...peccato, non profuma più di talco, come lei. distendo le braccia e guardo ancora fuori, stavolta non più dalla finestra della cameretta, ma dal balcone della cucina, che dà sul cortile. mi sento sola, con la pioggia di fronte. gocce, gocce, su gocce, ancora gocce. la punta del naso si potrebbe spezzare per il freddo. ripenso al sogno di stanotte. mi avevano tagliato la pancia, avevo nuotato con la pancia aperta, con lo stomaco di fuori, a contatto col sale.
Rob era un cane. Non era un cane qualunque. Non aveva dei padroni, era un randagio. Ma non era solo questa la sua particolarita'. Rob aveva tre zampe. Una storia atroce la sua. Aveva perso una gamba a causa della crudelta' umana. Rob era stato torturato da alcuni ragazzini viziati. Questi gli avevano straziato la gamba posteriore con le peggiori pene. Si era salvato pero'. Rob girava con un branco di randagi. Il gruppo era formato da altri cinque cani. Terror era una specie di capo-branco, anche se in verita' non esisteva questo ruolo nella loro realta'. Era il piu' forte.