Strade che costeggiano i cimiteri a volte anche sotto l’acqua calda che ti unge il capo e ti pervade il corpo mi capita di non sentire calore. Di percepire un freddo dentro che non riesce a spegnersi, a morire. Per quanto l’acqua che scorra sia calda, per quanto tempo resti in quello stato il vuoto dentro rimane e mi agonizza.
Dove sono finiti?cosa gli hai fatto? Ti bacio ancora sul ciglio della porta e nuotiamo ancora insieme? Continuo,con la testa sulle tue gambe, e quel sapore è ancora in bocca? Conoscevo bene ciò che dicevi, ma continui a raccontarmelo e non vuoi più dormire con me. Non vieni più a dirmi "sono bella" e che io con te amo il bello... li hai strappati anche se erano tuoi.
- Ma che cazzo fai? Dai fermati, smettila di succhiarmi le palle, sto pensando! Cammino sulla spiaggia deserta al tramonto, degli strani uccelli neri con lunghe code hanno preso il posto dei gabbiani, la luce è dolce non fà male agli occhi, ma tengo lo stesso i miei occhiali neri.
Ieri ho affittato, per la prima volta nella mia vita, una stanza. Da ieri vivo in questa stanza in affitto a due passi dalla metropolitana, divido il bagno e la cucina con due ragazze. La mia stanza, ad eccezione del trittico scrivania-armadio-letto, è vuota. Non ho neppure una sedia, quella che ho trovato ha il piano sfondato e le ragazze sono state categoriche riguardo a quelle della cucina. Poco male, domani andrò a prendere la mia sedia personale: ne ho una in tela, tipo regista.
Caro Hank, perché vorrebbero essere tutti come te, quando quelli come te per strada neppure li guardano? Tu, Hank, hai amato la vita senza condizioni o remore. Ed oggi ho bisogno di raccontarti una cosa. Prima, però, ti confesso di essermi fatto prendere dalla smania ed ho investito i pochi risparmi che avevo nell’acquistare le tue raccolte di poesie, o i tuoi romanzi, che ancora non avevo letto. Così sono entrato in libreria, in una di quelle librerie che hanno ogni genere di volume, ma che solitamente nascondono i tuoi libri o li tengono in scaffali altissimi o in profondi sottoscala.
non li ho mai digeriti i cavalli cavalli vino birra donne lavori di merda brocchi patentati eppure la puntata ha il fascino un'alba dagli occhi gonfi dovendo scegliere fra l'angelo bianco e bafometto scegliete bene
Prima di uscire di casa, per andare al lavoro, mi guardai allo specchio. Ero identica a lui. Lo stesso sguardo stanco. Le stesse occhiaie. Lo stesso malessere. La stessa pettinatura. Capelli neri, non pettinati, medio lunghi, con dei ciuffi davanti agli occhi. Dentro un cumulo di tristezza massiccia. Dei ciottoli grossi come pugni. Un’incudine animistica. Mi venne su il pianto in gola, in bocca. Sentii il sapore del mio sangue, del vomito. Risentii le stesse emozioni di due giorni prima. Le stesse scene. Navigli. Darsena. Porta Genova. La verità che scivola dalla mia bocca. Che si schianta sul cemento, insozzandomi le scarpe. Insozzandogli il viso. I miei occhiali da sole, che coprivano le mie emozioni. Maschera contemporanea. Post moderna. Sono un morto ubriaco che canta amore.
Carpe Diem, assapora l’attimo nella sua pienezza,con tutti i sensi,inebriati della sua dolcezza. Per quanto tempo si vive con questa speranza,che si tramuta poi in un chiodo fisso,che poco alla volta diviene sempre più fastidioso,più doloroso,man mano che il tempo passa e nemmeno l’ombra di un attimo che valga la pena rincorrere.
Stato di semi allerta. Ingiustificato. Come se una mela mi si fosse conficcata nello sterno. Narici che non sfiatano. Io non ho fiato. Mi giro su me stessa. Una, due, tre volte. Attorno c’è il sole, ma nubi scure in fondo all’orizzonte. Voglio una mano che mi sorregga. L’ho dimenticato. Non so più come si fa a camminare. Lasciatemi stare, api. Una volpe. Coda lunga e folta. Sfreccia di fronte a me. Non posso calpestarla. La amo. È magra. Si tuffa nei cespugli. Si volta. Mi guarda e sorride. Un sorriso da scimmia. Mi sento un’imbecille. Sudo. Cerco la via per raggiungere il treno. Tutto è confuso. Tutto è stranamente al suo posto. In questo bosco, si respira aria buona. Accanto a me, una ragazza. Bella, giovane, dai capelli corvini e le forme tornite. Amo anche lei, più della volpe. Mi si accoccola sulla spalla, mentre cerco disperatamente il treno. Inizio a correre e lei con me.
La stanza era buia. Sempre buia. Smin non si muoveva mai da li. Stava costantemente attaccato al suo computer. Era un tossico del multimediale. Non parlava piu' con nessuno. Neanche con i suoi genitori. Si svegliava presto e trascorreva tutta la giornata davanti allo schermo. Rimaneva con la testa china fino a tarda notte. A volte non dormiva neanche. Smin era un ragazzo a posto prima di assuefarsi totalmente alla tecnologia. Aveva un sacco di amici, aveva anche una ragazza. Il pc era diventato il surrogato di ogni sua relazione interpersonale. Viveva per quello strumento.
Tornado di piscio, sborra, vomito Il tuo sangue purulento mi giova cado nella pozza della tua figa lecco il tuo sudore mi inchino davanti ogni tuo affronto non voglio pensare alla mia vittoria Sei la padrona che impartisce gli ordini, dai la vita, e se vuoi la togli le catene che hai messo intorno al mio collo stringono
Non mi ricordo bene cosa sia successo. Non ne ero nelle condizioni. C'era lei, piu' giovane di me. Era come se la stessi salvando. Forse lei salvava me. La panchina era piena di scritte, di numeri, codici verso il piacere. Una bottiglia di plastica con del gin. Un sorso a testa, si parlava. Passavano le ore, ma stavo bene.